Questi i principi di diritto enunciati dalle Sezioni Unite, a norma dell’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 3,:
– “il reato di cui all’art. 317 c.p., come novellato dalla L. n. 190 del 2012, è designato dall’abuso costrittivo del pubblico ufficiale, attuato mediante violenza o – più di frequente – mediante minaccia, esplicita o implicita, di un danno contra ius, da cui deriva una grave limitazione, senza tuttavia annullarla del tutto, della libertà di autodeterminazione del destinatario, che, senza alcun vantaggio indebito per sè, è posto di fronte all’alternativa secca di subire il male prospettato o di evitarlo con la dazione o la promessa dell’indebito”;
– “il reato di cui all’art. 319 quater c.p., introdotto dalla L. n. 190 del 2012, è designato dall’abuso induttivo del pubblico ufficiale o dell’incaricato di un pubblico servizio, vale a dire da una condotta di persuasione, di suggestione, di inganno (purché quest’ultimo non si risolva in induzione in errore sulla doverosità della dazione), di pressione morale, con più tenue valore condizionante la libertà di autodeterminazione del destinatario, il quale, disponendo di più ampi margini decisionali, finisce col prestare acquiescenza alla richiesta della prestazione non dovuta, perché motivato dalla prospettiva di conseguire un indebito tornaconto personale, il che lo pone in una posizione di complicità col pubblico agente e lo rende meritevole di sanzione”;
– “nei casi c.d. ambigui, quelli cioè che possono collocarsi al confine tra la concussione e l’induzione indebita (la c.d. zona grigia dell’abuso della qualità, della prospettazione di un male indeterminato, della minaccia-offerta, dell’esercizio del potere discrezionale, del bilanciamento tra beni giuridici coinvolti nel conflitto decisionale), i criteri di valutazione del danno antigiuridico e del vantaggio indebito, che rispettivamente contraddistinguono i detti illeciti, devono essere utilizzati nella loro operatività dinamica all’interno della vicenda concreta, individuando, all’esito di una approfondita ed equilibrata valutazione complessiva del fatto, i dati più qualificanti”;
– “v’è continuità normativa, quanto al pubblico ufficiale, tra la previgente concussione per costrizione e il novellato art. 317 c.p., la cui formulazione è del tutto sovrapponibile, sotto il profilo strutturale, alla prima, con l’effetto che, in relazione ai fatti pregressi, va applicato il più favorevole trattamento sanzionatorio previsto dalla vecchia norma”;
– “l’abuso costrittivo dell’incaricato di pubblico servizio, illecito attualmente estraneo allo statuto dei reati contro pubblica amministrazione, è in continuità normativa, sotto il profilo strutturale, con altre fattispecie incriminatrici di diritto comune, quali, a seconda dei casi concreti, l’estorsione, la violenza privata, la violenza sessuale (artt. 629, 610 e 609 bis, con l’aggravante di cui all’art. 61 c.p., comma 1, n. 9);
– “sussiste continuità normativa, quanto alla posizione del pubblico agente, tra la concussione per induzione di cui al previgente art. 317 c.p., e il nuovo reato di induzione indebita a dare o promettere utilità di cui all’art. 319 quater c.p., considerato che la pur prevista punibilità, in quest’ultimo, del soggetto indotto non ha mutato la struttura dell’abuso induttivo, ferma restando, per i fatti pregressi, l’applicazione del più favorevole trattamento sanzionatorio di cui alla nuova norma”;
– “il reato di concussione e quello di induzione indebita si differenziano dalle fattispecie corruttive, in quanto i primi due illeciti richiedono, entrambi, una condotta di prevaricazione abusiva del funzionario pubblico, idonea, a seconda dei contenuti che assume, a costringere o a indurre l’extraneus, comunque in posizione di soggezione, alla dazione o alla promessa indebita, mentre l’accordo corruttivo presuppone la par condicio contractualis ed evidenzia l’incontro assolutamente libero e consapevole delle volontà delle parti”;
– “Il tentativo di induzione indebita, in particolare, si differenzia dall’istigazione alla corruzione attiva di cui all’art. 322 c.p., commi 3 e 4, perché, mentre quest’ultima fattispecie s’inserisce sempre nell’ottica di instaurare un rapporto paritetico tra i soggetti coinvolti, diretto al mercimonio dei pubblici poteri, la prima presuppone che il funzionario pubblico, abusando della sua qualità o dei suoi poteri, ponga potenzialmente il suo interlocutore in uno stato di soggezione, avanzando una richiesta perentoria, ripetuta, più insistente e con più elevato grado di pressione psicologica rispetto alla mera sollecitazione, che si concretizza nella proposta di un semplice scambio di favori”.
Nella sentenza si delineano anche i concetti di
A) Abuso della qualità o della funzione
L’abuso della qualità o della funzione integra un elemento essenziale e qualificante delle condotte di costrizione e induzione — punite, rispettivamente, dagli articoli 317 e 319 quater c.p. — nel senso che costituisce lo strumento attraverso il quale l’agente pubblico innesca il processo causale che conduce all’evento, vale a dire la dazione o la promessa dell’indebito.
L’abuso della qualità (c.d. « abuso soggettivo ») consiste nell’uso indebito della posizione personale rivestita dal pubblico funzionario e, quindi, nella strumentalizzazione, da parte di costui, della propria qualifica soggettiva, senza alcuna correlazione con atti dell’ufficio o del servizio. Tale strumentalizzazione — che deve sempre concretizzarsi in un facere, non essendo configurabile in forma omissiva — fa sorgere nel privato rappresentazioni costrittive o induttive di prestazioni non dovute.
L’abuso dei poteri (c.d. « abuso oggettivo ») consiste nella strumentalizzazione da parte del pubblico agente dei poteri a lui conferiti, che vengono esercitati in modo distorto, per uno scopo oggettivamente diverso e in violazione delle regole di legalità, imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa. Tale abuso — che si realizza anche in forma omissiva, tanto nell’attività vincolata che in quella discrezionale — può verificarsi: in caso di esercizio dei poteri fuori dei casi previsti dalla legge; in caso di mancato esercizio dei poteri quando sarebbe doveroso esercitarli; in caso di esercizio dei poteri in modo difforme da quello dovuto; in caso di minaccia di una delle situazioni appena richiamate.
B) Concussione
Per la configurabilità della concussione, l’abuso costrittivo — che indica una eterodeterminazione della volontà della vittima, obbligata a compiere un’azione che altrimenti non avrebbe compiuto o ad astenersi da un’azione che avrebbe altrimenti compiuto — pone la vittima di fronte all’alternativa secca di aderire all’indebita richiesta oppure di subire le conseguenze negative di un suo rifiuto, restringendone notevolmente, ma senza annullarlo del tutto, il potere di autodeterminazione.
La costrizione va enucleata dalla combinazione dei comportamenti dell’intraneus — generati dall’abuso di qualità o dei poteri — con la conseguenziale condizione del soggetto passivo, la cui posizione è caratterizzata dalla sostanziale mancanza di qualsiasi alternativa e dal non essere animato dallo scopo di ottenere un vantaggio indebito.
C) Induzione
L’induzione, nell’ambito dell’art. 319 quater c.p., spiega una funzione di selettività residuale rispetto alla concussione, nel senso che copre quegli spazi non riferibili alla costrizione, designando l’alterazione del processo volitivo di un soggetto che, pur condizionato da un approccio non paritario, conserva ampi margini decisionali.
Le modalità della condotta induttiva si configurano, in positivo, nella persuasione, nella suggestione, nell’allusione, nel silenzio, nell’inganno, anche variamente combinati tra loro, sempre che, in negativo, gli atteggiamenti dell’agente pubblico non si risolvano nella prospettazione di un danno antigiuridico a cui non si accompagna alcun vantaggio indebito per l’extraneus.
Attraverso l’abuso induttivo, l’agente pubblico sfrutta, da una posizione di forza, la situazione di debolezza psicologica del privato, il quale presta acquiescenza alla richiesta non per evitare un danno antigiuridico, ma con la finalità di conseguire un vantaggio indebito per sé.
L’indotto — da cui l’ordinamento esige il dovere di resistere alle indebite pressioni del pubblico agente — è complice dell’induttore, con cui concorre nella lesione degli interessi dell’imparzialità e del buon andamento della pubblica amministrazione, e in tanto è punibile, in coerenza con i principi fondamentali del diritto penale e con i valori costituzionali, in quanto si determina coscientemente e volontariamente per perseguire un proprio vantaggio indebito.
Il delitto di induzione indebita a dare o promettere utilità, previsto dall’art. 319 quater c.p., integra un reato plurisoggettivo a concorso necessario.
Massime a cura dell’avv. Agostino Bellucci
SS.UU 12228_13