Il diritto di difesa, certamente ampio e rigoroso in ordine al dovere di critica, anche severa, alla decisione giudiziale in occasione della proposizione dell’atto di impugnazione, che implica la necessità di porre in evidenza ogni carenza motivazionale, non deve comportare, però, offese e insinuazioni di fatti penalmente rilevanti sul giudice e la controparte.
Tale principio è stato affermato nella sentenza del Consiglio Nazionale Forense, datata 10 giugno 2014, n. 85, da cui può trarsi la seguente massima : Nell’ambito della propria attività difensiva, l’avvocato deve e può esporre le ragioni del proprio assistito con ogni rigore utilizzando tutti gli strumenti processuali di cui dispone e ciò massimamente nella fase dell’impugnazione, atto diretto a criticare anche severamente una precedente decisione giudiziale e ciò rappresentando con la maggiore efficacia possibile la carenza di motivazione del provvedimento impugnato. Tuttavia, il diritto della difesa incontra un limite insuperabile nella civile convivenza, nel diritto della controparte o del giudice a non vedersi offeso o ingiuriato: soggetti nei confronti dei quali non devono essere utilizzate espressioni dirette consapevolmente ad insinuare la esistenza di condotte illecite o la violazione del fondamentale dovere di imparzialità, dovendosi mantenere con il giudice un rapporto improntato a dignità e decoro sia con riferimento alla persona del giudicante che al suo operato e alla funzione esercitata; l’esercizio del diritto di critica non deve mai travalicare in una censurabile deplorazione dell’operato del difensore, delle controparti e del giudicante.
massima a cura dell’avv. Marco Salerno